di Jenny Bassa
Corpulenta, sulla quarantina, capelli mossi, ribelli pure loro, si lasciava condurre tarantolata nient'altro che dalla musica, al punto da togliersi le zeppe pur di ballare, sull'asfalto, a piedi nudi, libera come il vento, incurante di noi che la stavamo a guardare tra l'incuriosito e il divertito; i più, di certo, etichettandola per una pazza scatenata.
Fasciata in un abitino fantasia al ginocchio, non era poi affatto goffa. Anzi, sprizzava energia e gioia da tutti i pori, addirittura più di tutti quei bambini messi assieme che hanno interrotto le loro scorribande ai bordi della platea, per lasciarsi ipnotizzare da quel ciclone assatanato.
Io - che non avevo ancora mai ascoltato musica rock dal vivo seduta su una sedia (ma alle sagre, si sa, occorre pensare a tutti, anche agli anziani che aspettano la tombola) - la invidiavo di brutto, tanto che le ho indirizzato un sorriso complice quando ho incrociato il suo sguardo - o così mi è sembrato - per una frazione di secondo.
Per questo, quando verso la fine il cantate ci ha invitati a schiodarci dalle sedie per andare finalmente a scatenarci sotto il palco, non me lo sono fatta ripetere due volte. Ma - ma! - solo dopo che almeno un altro nutrito gruppo di persone l'aveva già fatto.
A quel punto mi sono voltata in cerca di quella donna, e c'avrei giurato: l'ho trovata che ci guardava, probabilmente tra l'incuriosito e il divertito, dall'alto del sagrato della chiesa che si affaccia sulla piazza. E di unirsi a noi, pecoroni, potrei scommetterci, non c'ha pensato nemmeno un attimo.
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