giovedì 17 luglio 2014

La pazza e i pecoroni

di Jenny Bassa


Lo spazio tra il palco e la platea, l'altra sera, era tutto suo. Se l'è preso, d'impeto, arrivando come un tornado che non t'aspetti. Saltava, cantava, ballava in vortici indemoniati. Sì, sembrava posseduta. Dalla musica di una cover band chiamata a intrattenere il pubblico di una sagra paesana.

Corpulenta, sulla quarantina, capelli mossi, ribelli pure loro, si lasciava condurre tarantolata nient'altro che dalla musica, al punto da togliersi le zeppe pur di ballare, sull'asfalto, a piedi nudi, libera come il vento, incurante di noi che la stavamo a guardare tra l'incuriosito e il divertito; i più, di certo, etichettandola per una pazza scatenata.

Fasciata in un abitino fantasia al ginocchio, non era poi affatto goffa. Anzi, sprizzava energia e gioia da tutti i pori, addirittura più di tutti quei bambini messi assieme che hanno interrotto le loro scorribande ai bordi della platea, per lasciarsi ipnotizzare da quel ciclone assatanato.

Io - che non avevo ancora mai ascoltato musica rock dal vivo seduta su una sedia (ma alle sagre, si sa, occorre pensare a tutti, anche agli anziani che aspettano la tombola) - la invidiavo di brutto, tanto che le ho indirizzato un sorriso complice quando ho incrociato il suo sguardo - o così mi è sembrato - per una frazione di secondo.

Per questo, quando verso la fine il cantate ci ha invitati a schiodarci dalle sedie per andare finalmente a scatenarci sotto il palco, non me lo sono fatta ripetere due volte. Ma - ma! - solo dopo che almeno un altro nutrito gruppo di persone l'aveva già fatto.

A quel punto mi sono voltata in cerca di quella donna, e c'avrei giurato: l'ho trovata che ci guardava, probabilmente tra l'incuriosito e il divertito, dall'alto del sagrato della chiesa che si affaccia sulla piazza. E di unirsi a noi, pecoroni, potrei scommetterci, non c'ha pensato nemmeno un attimo.


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