lunedì 7 luglio 2014

Un pozzo di storie invisibili racchiuse tra due date: il cimitero

di Jenny Bassa

Non è poi tanto male frequentare il cimitero. Con somma sorpresa, ho scoperto che potrei passarci delle ore, io, tra le tombe. Soprattutto se nei dintorni non c'è nessuno. Anzi, chissà cos'avranno pensato quelle due uniche donne incrociate ieri, all'ora di pranzo di una domenica estiva minacciata dalla pioggia, quando mi hanno visto indugiare davanti a svariate lapidi, a volte zigzagando tra una e l'altra per vedere meglio le foto o le scritte semi nascoste da vasi, fiori, tempietti, colonnine e statue.

Negli ultimi dieci giorni sono stata al cimitero più volte che in tutto il resto della mia vita, a causa della dipartita di mia nonna. E' probabile - ne sono consapevole - che lei, o il suo spirito, non mi veda e non mi senta, e infatti a volte mi chiedo che senso abbia recarsi lì. Del resto, la foto - bellissima, di lei sorridente - a casa ce l'ho e la vedo ogni mattina e ogni volta che scelgo o depongo gli orecchini. A pensarla, poi, non serve certo che mi sforzi: il suo ricordo mi assale spesso, soprattutto quando sono sola, magari in bus, tornando dal lavoro, mentre guardo lontano, fuori dal finestrino.
Allora, mi chiedo, a che serve raccogliersi davanti ad una lapide? Qualche metro sotto, certo, c'è la sua salma. Ma non mia nonna, che per me se n'è andata ancora in ospedale, e ben due giorni prima che il suo debole cuore cessasse di battere per sempre, lasciando sul letto nient'altro che un simulacro: è stato quello infatti il giorno più doloroso per me, quello in cui non mangiava e non beveva più, non mi stringeva più la mano e gli occhi restavano chiusi.

In parte quindi - ho pensato in questi giorni - si sbagliava la mia pur brava insegnante di letteratura italiana del liceo: allora, studiando i Sepolcri del Foscolo, manifestai apertamente, e con una certa spavalderia, la mia perplessità sull'uso di recarsi necessariamente al cimitero per ricordare o piangere un caro defunto. Lo trovavo semplicemente poco ragionevole. Lei mi rispose "Ne riparleremo quando perderai un caro tuo…".

E allora, se tuttora non trovo ragionevole recarsi al cimitero, perché questa mia assiduità alla tomba di mia nonna? C'ho pensato, naturalmente, e la risposta, magari poco ragionevole, ma molto semplice, è perché so che lei ci teneva.
Ed è lo stesso motivo per cui nel mio portafoglio, da una decina d'anni, conservo - ben visibile ogni volta che lo apro - un bollo plastificato con due righe di preghiera e una rosa rossa disegnata, che lei mi aveva portato a casa da Lourdes. Al solo pensiero mi commuovo. Sono stata battezzata cattolica, ma da anni e anni ormai non mi ritengo tale. Non mi sento appartenere a niente, a dire il vero. Ma mai mi sognerei di togliere quel bollo dal mio taccuino. E', anzi, la cosa più cara che possiedo, insieme ad una sua camicetta in seta - roba che neanche le migliori boutique si sognano - che mi passò ancora parecchi anni fa e che ho indossato il giorno del suo funerale.

Sarà dunque che la salma di mia nonna è stata seppellita nella parte del cimitero più lontana dall'ingresso, fatto sta che uscendo, attraversando il camposanto, mi ritrovo spesso a passare in rassegna le tombe, soprattutto quelle a terra: mi attraggono in particolare le date di nascita e di morte, quindi le foto e infine le eventuali iscrizioni sulle lapidi. In un attimo calcolo quanti anni ciascuno è vissuto, e lo colloco nel periodo storico che si è trovato a vivere, e, facilitata dalle foto, mi ritrovo a immaginarne l'esistenza. Le tombe che più mi affascinano sono quelle di persone decedute da più tempo, magari a cavallo tra 8 e 900, disposte lungo il perimetro del cimitero. Più volte le iscrizioni fanno riferimento alla devozione, più spesso ancora alla vita di sacrifici e di duro lavoro, a testimonianza - come se ce ne fosse bisogno - del radicamento, lontano nel tempo, dei valori tipici nordestini.        

Il cimitero, insomma, è un pozzo di storie racchiuse tra due date, quasi la trascrizione dei certificati di nascita e di morte. Da un lato crea sgomento, dall'altro… è un sollievo.


"Marcia del Camposanto", Vinicio Capossela (Canzoni a manovella, 2000) 


Nessun commento:

Posta un commento